mercoledì 7 ottobre 2015

I soldi del petrolio lucano «a pioggia» e spesi male

di LUIGIA IERACE
POTENZA - Quasi 400 pagine e migliaia di file per raccontare come sono impiegate (o non impiegate) le risorse finanziarie generate dall’attività estrattiva di petrolio in Basilicata. In particolare, quel miliardo e 160 milioni di euro, soltanto di royalty, incassato tra il 2001 e il 2013 dalla Regione e dai 12 Comuni interessati dall’attività estrattiva. Com’è stato utilizzato? La gestione da parte di ciascun soggetto pubblico beneficiario ha permesso di raggiungere gli obiettivi programmati? È da questi interrogativi che è partita l’indagine sull’utilizzo delle risorse generate dall’estra - zione petrolifera, i cui risultati sono appena stati pubblicati, della Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Basilicata. Ma la ricerca preparata nel 2009 e avviata nel 2010 «si è sviluppata in maniera inattesa rispetto all’origine e alle stesse previsioni».
Il referto che il magistrato istruttore e relatore, Giuseppe Teti, aveva già anticipato nell’adunanza pubblica, disertata però dalla gran parte degli enti interessati, offre ora un quadro dinanzi al quale non potranno fare a meno di prenderne atto. E anche se le valutazioni del magistrato non entrano del merito Regione Basilicata e Comuni dovranno certamente dare alla Corte dei Conti, ma anche ai cittadini lucani le risposte ai numerosi interrogativi che il giudice contabile lascia aperti, a partire dalla quantità di royalty erogate. I dati forniti dalla Regione, come rileva la Corte dei Conti, mostrano valori differenti rispetto a quelli comunicati dalle compagnie petrolifere o pubblicati sul sito dell’Unmig. Ma all’Audizione pubblica tranne i rappresentanti di 5 Comuni e il responsabile del Piano operativo Val d’Agri, non si è presentato nessuno. Non c’era la Regione, nè i Comuni maggiormente interessati della Val d’Agri, e neppure i 5 Comuni di recente inclusione ne Programma operativo Val d’Ag ri che qualche motivo certo ce lo avevano per far sentire la propria voce, anche perché dal 2011 (anni che se la delibera di giunta è del 2009) nonostante l’inserimento e la presentazione dei documenti di programmazione ancora non sono stati ammessi a finanziamento. Burocrazia e ritardi che segnano le tappe di questa ponderosa ricerca che affronta tutti gli aspetti della questione petrolio: dagli accordi Stato-Regione, a quelli con le compagnie petrolifere, al Programma operativo Val d’Agri, alle royalty.
E su quest’ultimo capitolo, che in particolare, ci soffermiamo partendo dalla quantificazione di quel 7% di royalty (al 3% di bonus la Corte dei Conti dedica un capitolo a parte) all’utilizzo da parte della Regione Basilicata che beneficia dell’85% (55% riservato alla Regione + il 30% in origine destinato allo Stato). Ai Comuni spetta, invece, il 15 %. La fotografia dei numeri italiani è preceduta da un quadro del regime di royalty in altri paesi europei (Fonte Unmig). La filosofia seguita è che tendenzialmente «Stati ricchi di idrocarburi tendono a fissare royalty e fiscalità petrolifera in generale ai massimi livelli, mentre gli Stati che vogliono contribuire con la propria produzione al fabbisogno nazionale, anche se non sufficiente, tendono a modulare la percentuale royalty con la fiscalitàgenerale in maniera da mantenere la redditività degli investimenti che è il fattore determinante per la realizzazione di ogni iniziativa mineraria». È per questo che Regno Unito e Norvegia hanno eliminato le royalty per attrarre nuovi investimenti e di conseguenza maggiori introiti derivanti dall’aumento della base imponibile per le imposte del reddito d’impresa. Ma tutto questo attiene, naturalmente, alle scelte politiche dei singoli Paesi. Ma che siano basse o meno, il dato che spicca è che per la gran parte le royalty vengono utilizzate per coprire la spesa corrente di Regione e Comuni, non costituendo quel valore aggiunto che può avere un’entrata di carattere straordinario. Insomma, per pareggiare i bilanci si fa ricorso alle royalty, ma un bravo amministratore per far quadrare i conti non dovrebbe avere bisogno di altre entrate?
Andiamo ai numeri: dal 2001 al 2013 in Basilicata sono arrivati quasi 1 miliardo e 160 milioni di euro, di cui quasi 986 milioni alla Regione e più di 122 milioni al Comune di Viggiano. Seguono poi gli altri Comuni dell’a re a estrattiva con cifre inferiori. Ma come sono state utilizzate dalla Regione queste somme? Il dato fornito dall’Ente si riferisce al periodo che va dal 2001 al 2012 (comunque difforme da quello delle compagnie e dell’Unmig, come si evince dai grafici) si aggira intorno agli 815 milioni di euro, anche se poi l’impegno di spesa è di poco superiore ai 764 milioni di euro. Per fare cosa? Naturalmente, per coprire il disavanzo della sanità: 39,7 milioni. E il primo dubbio che sorge: senza royalty o quando queste finiranno chi pagherà ai cittadini la spesa sanitaria? Ma andiamo avanti. Servizi generali dell’amministrazione: 6,6 milioni. Sono compresi, oltre all’imposta di registro dell’accordo Eni-Regione anche i fondi destinati alla Società energetica lucana. Quali benefici ha apportato? Altre iniziative di sostegno alla Protezione civile: 2,6 milioni per assistere gli emigrati lucani in Argentina, per le provvidenze per i lucani nel mondo, per assistere le famiglie dei lucani emigrati in America latina. Poi la voce attività intersettoriali: circa 482 milioni di euro, 334 milioni dei quali destinati al Piano Operativo Val d’Agri (che merita un approfondimento a parte). Sono 56 i milioni destinati alla produzione di energia.
E ancora voci come adattabilità e occupabilità per oltre 2 milioni e un picco di circa 2 milioni e mezzo per l’in - clusione sociale di svantaggiati, disabili, impresa sociale , trasferimenti alla Provincia per interventi di prevenzione della disoccupazione di persone in condizioni di marginalità sociale e povertà. Vale la pena di chiedersi chissà che benefici avranno realmente portato oltre a quello politico di impatto sociale. C’è di tutto in quelle attività intersettoriali: dal capitale umano (orientamento, apprendistato formazione), alla transnazionalità, all’assistenza tecnica al Programma operativo -Fse (quasi 3 milioni), alla capacità istituzionale, tra cui rientra anche un Fondo europeo della pesca). E ancora società della conoscenza, competitività produttiva, valorizzazione beni culturali che dovrebbero essere il vero nucleo portante dello sviluppo regionale. Poi l’ accessibilità per quanto riguarda le rete ferroviaria regionale, i sistemi urbani per il collegamento delle città alle reti di trasporto, la viabilità. La voce trasporti è di 37 milioni.
Ma collegamenti, strade e trasporti come vanno in Basilicata? Poi affari economici con incentivi alle pmi per 20 milioni e 67 per le politiche a difesa del patrimonio boschivo. Una grande torta dove davvero ci sono tanti ingredienti, forse troppi e con il rischio di fare un bel pasticcio. La Corte dei Conti ha lanciato una provocazione. Sta alla politica raccoglierla e dare conto del buon lavoro svolto. Se è stato così.  

dalla Gazzetta del Mezzogiorno